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I DIRITTI UMANI: IL DIRITTO ALLA FELICITA’

Master inDocente-educatore per l’inclusione interculturale e digitale I diritti umani: il diritto alla felicità Cap.1 La Dichiarazione di Filadelfia…1.3 Il diritto alla felicità

A tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla felicità”. E’ così che recita la fine di un articolo  della Dichiarazione d’Indipendenza  Americana del 4 luglio 1776. Nella storia  di tutte le nascite delle costituzioni democratiche e delle norme fondatrici di uno Stato è la prima volta che viene  sancito “il diritto alla felicità”. Nell’art. 3 della nostra Costituzione Italiana  si coglie un accenno  implicito del diritto alla felicità intesa come “pieno sviluppo della persona umana”.  (Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale [cfr. XIV] e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso [cfr. artt. 29 c. 2, 37 c. 1, 48 c. 1, 51 c. 1], di razza, di lingua [cfr. art. 6], di religione [cfr. artt. 8, 19], di opinioni politiche [cfr. art. 22], di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.)

Per Epicuro (341 – 270 a.C.) che  per primo ha trattato l’argomento  in modo specifico   nella  “Lettera  sulla felicità”, rivolta a Meneceo, personaggio della mitologia greca, “La felicità è essere ciò che la natura ha previsto per noi

Per Aristotele  (384-322 a.C.), illustre esponente della filosofia greca, la felicità è un fine da raggiungere: sono due le caratteristiche che devono essere presenti nella nozione di felicità.  La prima è che la felicità deve essere un fine e non un mezzo; l’altra è la precisazione che la felicità è una ragione di vita che deve essere perseguita per quello che è veramente è e non per ottenere qualcos’altro. Perseguire i nostri  obiettivi senza smarrire la strada della virtù e con l’abitudine di fare il bene significa raggiungere la felicità.

Per I. Kant (1724–1804), filosofo tedesco,  la felicità è la  “coscienza della gradevolezza della vita che accompagna tutta l’esistenza di un essere  ragionevole”.  Secondo Kant le  persone dovrebbero meritare la felicità piuttosto che desiderarla. La felicità dipende della scelte di ciascuno di noi,  sono le scelte libere che ci fanno arrivare alla realizzazione di una vita felice.

Per U. Eco questa idea di felicità, così ossessivamente ricercata, “pervade il mondo della pubblicità e dei consumi, dove ogni proposta appare come un appello ad una vita felice, la crema per rassodare il seno, il detersivo che finalmente toglie tutte le macchie, il divano a metà prezzo…raramente pensiamo alla felicità quando votiamo o mandiamo un figlio a scuola ma solo quando compriamo cose inutili e pensiamo di avere in tal modo soddisfatto il nostro diritto al perseguimento della felicità

Quindi le nostre scelte sono la chiave del nostro diritto alla felicità. Nell’epoca moderna, a partire dalla stagione  dell’Illuminismo, la nozione di felicità ha assunto un significato sociale più ampio, interessando  anche la dimensione del  pensiero  sociale e politico, oltre che filosofico. Il tema della felicità è entrato anche nell’agenda di molti leader politici. In Francia è stata recentemente costituita una commissione di esperti col compito di studiare e “confezionare” il “PIL del benessere”. Nel  comune di Ceregnano, un piccolo centro del Polesine nella provincia di Rovigo, è stato addirittura creato  “l’Assessorato alla Felicità”. Si può dire che non esiste la condizione di felicità assoluta. Ciascuno è felice a “suo modo”, per ragioni “sue” che variano da individuo a individuo. Tuttavia quando si pensa alla natura della felicità si fa riferimento ad alcune cose concrete: salute, serenità, intelligenza, cultura, saggezza amicizia, un’esistenza vissuta in pace con se stessi e con gli altri. Queste cose sono la felicità e sono essenziali e come tutte le cose essenziali sono comuni a tutti gli esseri umani. Ogni uomo non può fare a meno di basare la propria felicità  su fattori che sono insiti nella sua stessa natura di uomo e per questo essenziali e quindi universali. Lo  scopo della vita è certamente quello di vivere nel migliore modo possibile ogni aspetto, ogni momento. L’uomo tende per natura verso il proprio migliore  benessere possibile, sia materiale che spirituale. La buona salute è il più prezioso dei nostri beni, anzi  è la condizione senza la quale l’edificio della felicità non può essere costruito. Sono ben noti gli adagi  latini “mens sana in corpore sano” (Mente sana in corpo sano) (Giovenale) e “Non vivere sed valere vita est” (La vita non è vivere, ma star bene) (Marziale). Negli ultimi anni, segnati dalla crisi, anche gli esperti di economia si occupano di felicità e si chiedono se la congiuntura può influire sulla felicità umana. La tesi di molti studiosi si può riassumere in questi termini: una volta raggiunti i beni essenziali e la soddisfazione dei bisogni di base, tutto ciò che si ottiene di più appare irrilevante per sentirsi più contenti e felici. La parola Benessere racchiude un concetto di rilevata importanza; la si può confondere con facilità associandola ad aspetti meramente economici. In realtà il benessere è un indice economico dato dall’istruzione, dalla salute e dal PIL(Prodotto Interno Lordo) di un paese. Inoltre, il benessere economico porta con sé tanti fattori: la ricchezza, la distribuzione dei redditi, i consumi, l’andamento delle famiglie, il volontariato che formano la qualità delle vita. Quando si parla di Benessere lo si associa al PIL pro-capite e invece ci sono, anche, fattori socio-economici quali la salute, il tempo libero, l’istruzione, l’ambiente che influenzano il nostro benessere e sono riconducibili nel concetto di felicità. L’economista Easterlin ha appurato, attraverso lo studio e l’analisi statistica di andamenti di redditi tra paesi ricchi e paesi poveri, che all’aumentare del reddito non sempre aumenta la felicità, creando così un paradosso. Il binomio reddito-felicità dipende, secondo Easterlin, da tre fattori: le aspettative e realizzazioni, i Beni comfort e i Beni stimolo, i Beni relazionali. L’effetto del reddito sulla felicità viene valutato al netto dell’effetto di altri aspetti contaminanti come l’età, lo status familiare, la pratica religiosa, il lavoro svolto e altri. Nelle società contemporanee, l’uomo si realizza allorquando la felicità aumenti il benessere e la qualità di vita. Per definire i compiti dello Stato finalizzati alla realizzazione dei diritti dei cittadini si deve assumere un punto fermo, cioè un vincolo fondamentale che è posto dal costituzionalismo: il principio dell’autodeterminazione individuale. Si può ricordare, ma solo per cenni dato che si tratta di cosa nota, che il liberalismo, il quale costituisce la più importante matrice del costituzionalismo moderno, si pone in netta antitesi con il paternalismo, cioè con quella concezione in virtù della quale chi governa dovrebbe provvedere alla felicità di governati incapaci di realizzare quest’ultima, cioè dovrebbe tenere l’«atteggiamento (benevolente) del padre verso i figli “minori”». Nella prospettiva del liberalismo e del costituzionalismo lo Stato, lungi dall’essere paternalista, deve garantire, senza interferenze, la libertà di scelte di vita, cioè l’autonomia dell’individuo nella determinazione della propria esistenza. Tale limitazione della potestà statale è ben lumeggiata dalle parole di Kant, secondo il quale “Nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo (come cioè egli si immagina il benessere degli altri uomini), ma ognuno può ricercare la sua felicità per la via che a lui sembra buona, purché non rechi pregiudizio alla libertà degli altri di tendere allo stesso scopo” .  Lo Stato può contribuire alla realizzazione della felicità individuale fornendo le risorse giuridiche, finanziarie ed istituzionali che consentano o rendano più agevole il raggiungimento di questo obiettivo da parte dei singoli. Più esattamente lo Stato dovrebbe avere il dovere di non porre in essere norme o provvedimenti che precludano, senza ragione giustificatrice, la realizzazione della felicità individuale, così come, nell’ambito del possibile (e con i limiti inevitabili, e non di poco conto), dovrà, in positivo, porre in essere norme o misure che rendano più agevole il conseguimento del risultato da parte degli individui. Determinare in che cosa debba consistere, in concreto, la felicità individuale e come conseguirla non è compito dello Stato o di altri soggetti pubblici. Gaspari scrive: “Lo ‘star bene’ delle persone non si limita ora al soddisfacimento dei bisogni materiali, ma sempre più di quelli immateriali e relazionali. E l’idea di welfare che ha finora informato il nostro senso di “felicità sociale” non può fermarsi alle fasce più deboli, ma deve investire la qualità di vita di tutte le componenti della popolazione. Esercizio dei diritti civili, giustizia sociale, parità delle opportunità, consistenza e qualità delle relazioni tra le persone, i gruppi sociali e le generazioni: questi i contenuti del welfare da tenere presente quando si prospettano interventi diretti ad esempio agli anziani o ai giovani. Le organizzazioni del Terzo Settore, più di altre, possono contribuire al dibattito sui criteri per misurare il benessere nelle sue molteplici dimensioni, proprio perché tenute a valutare la propria performance con indici diversi dal profitto. Interrogandoci sulle specificità del nostro lavoro constatiamo quanto questo sia informato di un’idea di “felicità “ anche se il senso di realtà ci impedisce di utilizzare un termine simile, che di rado rientra nel vocabolario quotidiano degli operatori sociali. Eppure di fondo è la tensione che anima questo impegno. Parlare di felicità, infatti, significa parlare di bisogni da soddisfare, o almeno di una progettazione sociale che promuova la massima diminuzione dell’infelicità, legata soprattutto alla ingiustizia sociale e renda sensata la ricerca individuale e collettiva del piacere. E questo richiede un’etica esigente, alla quale non vogliamo sottrarci.”  Felicità e quotidianità e vivere nel tempo e nello spazio dell’oggi e del qui e ora;  autori come Umberto Eco ci ricordano proprio come difendersi dalla felicità aleatoria e indotta o quantomeno saperla riconoscere.

Sociologa

Teresa Sicoli